Sul desiderio di un flusso

desiderioNon c’è che desiderio e socialitá, nient’altro”.

Deleuze e Guattari 

L’Anti-edipo. Capitalismo e schizofrenia.

Ho riconcentrato l’attenzione su un libro la cui lettura non può che essere sintomatica come è sintomatica la conseguente scritturaflusso che in me ha ispirato. La macchina desiderante produce il reale e da qui dovremmo ripartire in una sorta di recupero del messaggio dell’Anti-edipo nell’era post atomica della bomba chiamata “crisi”.

La clinica delle psicosi mi insegna quanto il pensiero “schizo” sia intriso della produzione del flusso in cui cerchiamo spesso di inscrivere una categoria – nosologica, psichiatrica o interpretativa – mentre la clinica delle nevrosi si imbatte in quel che l’eccesso di struttura produce nel soggetto, ovvero il suo schiacciamento sotto l’egida della repressione.

Sulle opportunità del flusso deleuziano, non da intendersi come invito all’uccisione di ogni fardello simbolico in nome di una pulsione cieca ma come liberazione del desiderio dalle istanze sociali che lo hanno ingabbiato, potrei aver molto da dire.


 Mi connetto al flusso. Incontro centinaia di persone ed ascolto ovunque un brusio di sottofondo. Le famiglie, i genitori, i fratelli, le sorelle, i gruppi classe, i gruppi di lavoro, le coppie, i single, gli italiani, gli stranieri, tutti sarebbero aperti al flusso finalizzato non più ad acciuffare l’oggetto miracolistico che colmi la mancanza; piuttosto, dichiarerebbero più o meno sommessamente la disponibilità di donare loro stessi al flusso in sé, esauritasi la speranza che qualsiasi forma di Struttura possa fornire senso alle prospettive immaginarie, una volta preso atto che la mancanza risiede nel concetto stesso di struttura.

Quel che chiamo incontri causali, non fortuiti ma neanche articolati nel “discorso del Padrone”, sono esempio del flusso appunto “macchinico”, volto a produrre nel reale la dimensione animale della vita, dove animale significa abitato dalla pulsione a vivere, senza attribuire al concetto di animalità alcuna valenza religiosa o zoologica.

Nel corso delle presentazioni di Non esiste una giustificazione, ho avuto spesso modo di sentire il flusso, osservando la comunità coinvolgersi in una produzione appunto “animale”, che si è tradotta in una riflessione appassionata sullo scheletro della violenza, sui tentacoli del potere e sul potere accecante dello sguardo dell’altro.

Ho scoperto che uomini e donne, professionisti e non, hanno ciascuno/a un padrone cui chiedere di render conto e mi piace pensare al flusso di idee emerso come amplificatore dell’urgenza di un’azione trasformativa all’insegna del desiderio di produzione di sé oltre le maglie dell’Altro.

Il desiderio ingenuo di incontrarsi per parlare, avviare nuove connessioni relazionali sull’impronta della sorpresa, dello stupore e dell’incanto, comunicare per uscire dal fantasma narcisistico della solitudine, avviare un’azione di cambiamento sociale oltre gli spartiti di concerti già suonati e gli steccati di campi istituzionali prestabiliti, questo ho inteso per flusso.

Movimenti di pura economia pulsionale, sospesi tra sogno e realtà, tra percezione del bisogno e formulazione di una domanda, veicolati dal solo impulso aggregativo tra pari umani.

Rileggendo l’Anti-edipo, ho allora pensato che l’opportunità, in tutta questa confusione, potrebbe (o sarebbe potuta) consistere nel co-produrre un flusso molecolare di azione e passione senza appartenenza alcuna alle categorie molari che scienza, politica e religione confezionano quotidianamente al banchetto esperienziale della vita per poterci chiamare uomini.


 Purtroppo, la paccottiglia dei saperi, la comparsa di nuovi sciamani, l’ipersensibilità con cui ciascuna funzione difende il proprio territorio – politico, professionale, amicale, amoroso, hobbystico – alimentano ovunque, all’interno del flusso, la speranza nelle “credenze”, concime straordinario per sostenere l’illusione che il proprio orticello culturale possa crescere lontano dalle nubi tossiche della radioattività globale.

Ecco che la macchina capitalistica incombe, come ci ricordano Deleuze e Guattari, sulla potenza eversiva del desiderio, deterritorializzandolo sotto forma di flussi decodificati appena il desiderio si presenta nella sua forza dirompente e primitiva.

Flusso credenza, flusso lavoro, flusso appartenenza, flusso noi si, flusso voi no. Flusso distanza, flusso vicinanza, flusso non più, flusso non ancora, flusso non basta. Flusso sono contro, flusso sei fuori, flusso parliamone, flusso ci devo riflettere.

Qui nasce la struttura sottoforma di credo, che ripiega la potenza macchinica del desiderio in una miriade di organi da potenziare, lubrificare, oliare, lucidare, far scorrazzare, revisionare e poi sostituire, magari pagando per la loro demolizione attraverso un contrito processo di lutto. Forse la violenza rappresenta la benzina invisibile con cui ciascuno di noi guida la propria macchinuccia, ben distribuita negli autogrill ad ogni punto di ristoro e di codificazione sociale dei flussi.


Quando viene offerta  un tanto al chilo nel rione della logica mercantile, la fluidità del “corpo senza organi” di deleuziana memoria

studiareamareformarsilavorareconoscere

usciresentiremusicainformarsiviaggiare

si moltipica, si affetta, si taglia, si svende in una pletora di strumenti cristallizzati attraverso i quali ciascuno potrà esercitare il  suo diritto di espressione, il sacrosanto ritorno ad uno stato di benessere, la difesa di un’opinione o la maturata  consapevolezza di avere un problema.

Installatisi nel socius, costumi barattabili come moduli accrescono fallicamente l’esperienza o colmano magicamente una mancanza ad essere. Ce ne è per tutti i gusti e di ogni tipo, in ogni campo del sapere e dell’ignoranza: siamo diventati  l’epoca delle pillole dei miracoli. Tu fai questo miracolo a me, che io faccio questo miracolo a te.


Da opportunità di flusso, le categorie di vita allora si inturgidiscono: sono ora organi del corpo spogliato dal desiderio, veri stendardi del Potere.

Esempi. Se mi formo, allora mi laureo. Se mi fermo, allora no. Se allora no, allora bo. Se mi laureo, allora viaggio premio. Se viaggio premio, allora mi diverto. Se mi diverto, allora sono felice. Se sono felice, allora lavoro meglio. Se lavoro meglio, allora guadagno. Se guadagno, allora mi sposo, oppure mi sposo lo stesso, che il lavoro tanto non si trova.

Luoghi di culto della privacy e della presunzione di emancipazione, vettori ordinanti di traiettorie di vita altrimenti allo sbando, sacre dimore delle “legittime aspirazioni di crescita personale”, queste matrici del “se allora” strutturano una superficie di trascrizione e al contempo di tradimento del desiderio attraverso un discorso tanto amichevole, quanto capace, tempo zero, di congelare il battito della pulsione per la durata di una vita intera.

Flusso liberamente ispirato dalla rilettura di: 

Deleuze G.  Guattari F., L’anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, Tr. it. Einaudi, Torino 1975.