Nel sud delle cose

2015-04-23 08.03.17

Io sono cresciuto da sempre nel sud delle cose, dove l’orientamento esistenziale è dettato dagli odori e dai colori.

Da piccolo ricordo in Calabria concetti dilatati del tempo sfrigolare assieme al caldo vibrante dell’asfalto. Uscivo di nascosto di casa durante la siesta che tutti dormivano. Me ne andavo su un terrazzone che dominava il paese e ricercavo quel sole stordente, vero cibo per la mente.

Vedevo il mare blu a un tiro di schioppo e mi immergervo nel catino degli odori di quelle piante rosse di cui non ricordo il nome. Forse oleandri. Erano tante che mi sembravano una foresta e spesso sopra ci mangiavo una pesca. Ecco, era pura sensorialità, dove l’esperienza del benessere coincideva con qualcosa di mistico.

Nel sud delle cose si vaga a lungo e senza troppe remore tra i concetti di giusto e meno giusto, perchè si confida che l’istinto faccia prima o poi da timone.

Così mi ritrovavo a pranzare che sono le 18 o a passeggiare che sono le 4, perché c’è un tonico particolare nell’aria che addolciva la vita, sfiorando certi equivoci o giocando con alcune interdizioni.

In un posto in cui sei cresciuto, ti senti da sempre saputo. Come una granita perpetua a forma di ossigeno, o una parmigiana croccante al suo primo boccone, un calamaro gratinato, o il latte di mandorla gelato, o il liquore di mirto a sincerarti che la vita continua.

Poi, nel sud delle cose, a fianco delle loro case, ci sono i vecchietti incontrati per strada, che ti guardano con rispetto felici di condividerti per un momento. I vecchietti per strada nel sud delle cose sono come bambini innocenti, spesso come loro hanno pochi denti e sono tremendamente pieni di vita e di coraggio.

Ognuno ha il suo piccolo menu etico, che ti sembra inequivocabilmente la soluzione al male del mondo. Mentre ci parli rapito, sei convinto che tutto cambierebbe se fossero loro a fare le leggi o a scrivere i libri o a insegnare all’università.

Li saluti con un goccio di amarezza, sapendo che forse non li rivedrai più; ti rimane impresso a lungo il concetto che hanno espresso come massima di vita o il sapore dell’amaro che ti hanno offerto abbondantemente al caffè di paese.

Uno di loro mi disse: tu le passioni, se davvero le sai scrivere, insegnale alla gente a vivere. Ha voluto l’indirizzo del mio blog ed io, con la mano che mi tremava per l’emozione, l’ho scritto sul tovagliolino ruvido di carta del bar.

 

Il ritorno ad un futuro precedente

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Mio nipote mi guardò stretto nelle pupille quando mi chiese cosa fossero ai miei tempi il giusto e lo sbagliato, ed io gli raccontai che a un certo punto si sgretolarono, coincidendo con i concetti di potere e debolezza. In pratica, gli spiegai, se eri potente eri giusto e se eri debole eri sbagliato. Almeno questa fu l’evidenza che ci accompagnò per anni.


Smetteva di fare le sue cose quando gli parlavo di internet, blog, chip, password, bancomat e carte di credito. Soprattutto, era catturato mentre cercavo di spiegargli come fosse fatto un cellulare, la sorpresa che provammo quando arrivarono a cambiare le nostre vite e ci sentimmo tutti più vicini e più soli.

Quando discutevamo di questo e altro  mi prendeva un pò in giro, ed io mi avvertivo all’improvviso vecchio. Poi tutto finiva in una rincorsa, se il tempo e gli impegni della giornata ce lo permettevano, e ricominciavamo a parlare.

Internet gli pareva proprio strano, per il mondo in cui lui era nato e cresciuto, e non si capacitava di come fosse possibile aver inventato in passato un sistema così complicato. Con i suoi amici, poteva farne senza, che a loro bastavano adesso modi molto più semplici per comunicare.

Prendeva sonno quando gli parlavo della radio e delle cabine telefoniche ed anch’io, arrivato a quel punto, sbadigliavo un pò, forse per lo sgranarsi dei miei ricordi. Sorrideva all’idea di me piccolo con un gettone in mano ed era stupito che questo avesse un costo; il gettone: qualcosa di solido con una riga in mezzo a segnare l’inizio del prezzo di una comunicazione.

La volta che mi chiese cosa significasse lavorare, fui costretto a raccontargli che le cose cominciarono a funzionare in modo strano come per il concetto di giusto e sbagliato; molti lavoravano molto per poco e pochi lavoravano poco per molto. Molti iniziarono a non lavorare per niente e se ne dispiacevano al punto di avere da offrire, alle persone che amavano, solo l’amaro della loro rassegnazione.

Nelle notti piú lunghe, c’era la volta della storia delle differenze. Ammetteva di esserne un pò spaventato e mi stringeva forte la mano. Una diversa per sera, ascoltò una guerra tra i popoli o una battaglia tra le persone comuni per come le avevo vissute, viste o sentite; capì così che, per ogni cosa detta o fatta, gli uomini decisero di dividersi in schieramenti e fazioni che davano senso in modo sanguinoso alle loro esistenze; perché ciascuno di loro voleva annullare, appunto, la storia delle differenze.


Al suo risveglio, anche quella mattina camminammo raccogliendo more e ciliege fino al fiume, dove lavare il sonno della notte parlando di giusto e sbagliato.

Lì incontrammo i suoi amici e tanta altra bella gente. Tutti insieme continuammo ad ipotizzare, sotto il sole cocente, come costruire il ritorno ad un futuro precedente.

Le opinioni del mare

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Io torno al mare tutte le volte che ho bisogno delle sue opinioni su di me.

Possono venire da una manciata di sarde, o da una piccola ferita su uno scoglio. Dai moli grossi, costruiti per evitare che le correnti mangino la costa. Da una mezza luna di notte o dal sogno, ormai assopito, di pescare un’aragosta.

Le opinioni del mare sono oggetti di riporto fragili e spaiati su cui è facile fare poesia; così come era mosso il mare quel giorno di festa, che a rendere tutto più problematico, il mosso spesso basta.

La battigia in primavera è una scommessa a tu per tu con la prospettiva di un riscatto. Che siano minuti o passino ore, sulla spiaggia accanto a un piatto non è facile mantenere il buonumore. I bordi di Italia, e forse di ogni nazione, sono fatti di ciabatte, bambole contratte, ferri da stiro ossidati e vecchi macchinari per preparare gelati.

Il mare parla come può ed usa i sussurri dell’acqua od il suo sciabordio. Il successo di una sua consulenza avviene quando torni a casa confuso sul concetto di tuo, di suo o di mio.

Ieri non mi andava granché di correre, solo di camminare. Dribblando i resti di tutto quel materiale, coglievo così, in modo nitido, il profilo scomodo di certi orizzonti, in attesa dei loro tramonti. Seguendo il profilo della Corsica, avrei ricamato a lungo interrogativi sull’adolescenza e sull’ansia di imparare a far senza.

Poi è comparsa la fame di vita dei figli, a cui è vietato rispondere con gli sbadigli. Ovunque tu sia, quello che aleggia sembra il miglior odore di sempre, e ti chiedi quale oste casereccio, piatto ricco, mollusco prelibato, conto stracciato, ti perderai. Con straordinaria regolarità, dove sei a pensarlo non è dove sei stato o dove andrai a mangiarlo, a lasciare lo strascico delle sue reti. 

Le opinioni del mare alle sette di sera sanno di fritto e di qualcosa di sensuale, a patto che non ci sia il maestrale. Arriva, nel caso, una fitta profonda di nostalgia ed uno smarrimento violento sulla sua scia. In quei momenti, tutto diventa come un bosco continuo e frondoso ed il moto ondoso qualcosa insieme di attraente e di odioso, fragoroso, sontuoso. Insomma, qualcosa che finisce con “oso”.

Mi ha definitivamente distratto il  preparativo di un pescatore ed il mesto ritirarsi di un suo compare, che a raccogliere il retino sembrava proprio un attore.

Per ogni uomo di mare che se ne va dalla riva, ce ne è sempre uno nuovo che arriva.