Provo sempre più spesso la disturbante sensazione di dialogare con persone che attivano la sola parte sinistra del cervello.
Tutto ciò che attiene ad uno scambio profondo viene relegato nei bassi fondi della comunicazione in nome dell’aziendalismo imperante della nostra vita. La netta separazione tra famiglia e professione, tra mondo dell’intimità e mondo della produttività, tra privacy e pubblico ha creato questo scisma violento che si chiama mancanza di spontaneitá. Hai presente quando dici qualcosa e l’altro dice: eh. Si. Infatti. O quando ad una cena condividi per ore i piatti ma non resta niente che evochi uno spessore emotivo. O quando gli incontri tra le persone, le riunioni di lavoro, il dialogo tra amici rimane imbalsamato nei clichè. L’istinto della convenienza, il giocare in difesa e la paura dell’esposizione generano la mancanza di spontaneità. Penso che questo impoverisca fortemente la vita di ciascuno, sia di chi emette, sia di chi riceve. Penso che negli incroci relazionali, ciò che è tuo prima o poi transita anche in ciò che è mio e lo influenzi e che la mancanza di spontaneitá ci stia allontanando un pò tutti da tutti. Non dico certo che si dovrebbe essere sempre aperti al flusso emozionale tra le persone; ritengo, però, che dovremmo avere meno paura di sfatare il mito che le emozioni siano un segno di fragilità e debbano essere compensate dal bisogno di sfoggiare qualche forma di “sapere x”, utilizzato come protuberanza fallica per coprire le proprie vergogne.