Un cane è un orologio che separa il bene dal male, la natura dalla cultura, il senso dalle cose. Un cane che poi si addormenta è una poesia.
Ogni notte, Lola mi aspetta sulla coperta. Il suo rintocco biologico non ammette sgarri; e mi segue perplessa, se per caso qualcosa va storto e dopo essersi riempita la pancia, trotterella da una stanza all’altra, oppure sale in macchina o assiste ai bagordi di una cena tra amici, con lo sguardo piccato che dice: quanto mi costa averti come padrone.
Arriva prima o poi, comunque, la consapevolezza reciproca che è arrivato il momento. Ecco che Lola scende diligentemente dal letto, che occupa in mia assenza. Un cane sul letto di un umano combina due istinti: la supervisione e il possesso. La difesa del branco e l’oscuro bisogno farlo.
Un pò contrariata, scende, guardandomi in tralice, che non vuol dire in cagnesco. Si arrotola e si spinge. Soddisfatto lo schema “è ora di dormire”, sgrufola e si arresta. Fa qualche girotondo impazzito. Mi punta con gli occhi socchiusi, quasi a sincerarsi che ancora ci sono. C’è qualcosa che non le torna, come se addormentarsi le fosse desiderato ed ostile.
Non posso darle torto. Addormentarsi è un rituale, a volte una missione. A volte riesce bene, altre volte riesce male. Ci sarebbe da scrivere un piccolo racconto su ogni notte. Meglio. Ci sarebbe da scrivere un piccolo racconto su come si scivola dentro ad ogni notte.
Sicuro lo si fa da soli, anche se in presenza di qualcuno: questo Lola lo sa. Io la chiamo, che vorrei abbracciarla, ma non è il momento, magari domani: ognuno si lecchi le proprie ferite e pensi a toilettare se stesso.
Ha un nido caldo, al pari del mio. E uno sul pavimento, quasi a ricordarsi che il suo destino deve pur essere più scomodo di quello del padrone. Calcola e misura, occupando i due luoghi con ritmo regolare, che lo potresti contare.
Cuccia terra terra cuccia cuccia terra terra cuccia.
Facciamo tam tam. Un posto freddo e lastricato, l’altro regressivo ed avvolgente. Proprio come i pensieri di notte. Abitiamo paessaggi diversi anche in così poco spazio.
Io spengo la luce ma non i pensieri, che scorrono come watt, o come hertz, o come qualcosa che ha a che fare con l’energia della luce che ho spento. Lola si sdraia. Si accomoda, si aggiusta sul fianco. Lo senti, questo tonfo felpato e pesante: come una coperta battuta di pomeriggio in campagna, o un cestino di mirtilli che si appoggia sul prato, o un pacco di figurine che da bambino ti piomba dal cielo.
Ma non è ancora tutto, che c’è una cadenza irregolare dei suoi respiri che fa quasi ansia. Sono veloci, sanno di rincorsa di un cacciatore in mezzo al bosco. Di una preda che sta per essere stanata. Del terrore di essere catturata. Cerco di stare al loro passo.
Entro nella natura. Sfrecciano archetipi: cane padrone tribù battute di caccia. Preda predatore gabbia mancanza di cibo. Tagliola bastone grotta abbandono paura carne sangue. Stantuffi sonori nel vuoto della notte, come accette che sagomano i miei pensieri.
Lola dormi, che è arrivato il momento.
Poi arriva il respiro finale, accompagnato dall’impasto inconscio delle fauci di un cane, che solo chi li ama riconosce e si aspetta.
E’ un lungo, profondo respiro, come la notte e la pace che genera. Un treno che viaggia di notte verso un paese bello e sperduto. Pausa dopo il lavoro, prima della stagione estiva. Una cena saporita e leggera. Sapere che si scriverà un romanzo di sera.
Sogni tesi ma belli. Ombrelli che si aprono e passeggi sotto la pioggia. Essere felici della presenza di qualcuno nell’aria.
Anch’io mi addormento, che i cacciatori sono spariti, ed è possibile trovare ombra per i miei pensieri.