I Signori del Silenzio in uscita.
Per certi aspetti, rispetto al primo romanzo che ho scritto, I Signori del Silenzio va avanti e indietro, come l’altalena della memoria di Martino, il protagonista di sedici anni. La casa dalle nuvole dentro raccontava il percorso tortuoso di un uomo alla ricerca di sé oltre il destino della violenza. I Signori del Silenzio, per così dire, affronta in una dimensione più corale le premesse e le conseguenze di ciò che sta dietro a un turbamento che ha a che fare con qualcosa di indicibile e irrappresentabile. Se La casa dalle nuvole dentro parlava di un uomo alla deriva, I Signori del Silenzio è più cosmico. Forse apocalittico, come il metaromanzo che si mette a scrivere Martino nel campo vicino casa insieme a Ivo, il suo amico talpa.
Parla di famiglie allo sbando. Di un mondo in crisi, alienato e alienante. Di piccole crepe di felicità su cui frana il caos dei ruoli genitoriali. Parla delle sacche familiari e sociali in cui ci sentiamo avvolti con rassegnazione. Della crisi, di cui quella economica è solo il paravento, che si percepisce ad ogni angolo di strada. Sull’uscio dei bar. In treno. All’uscita di scuola.
Parla dell’amore dei genitori di Martino che diventa evaporato, come una tisana non bevuta, lasciata in tazza nel week end. O di Vanessa, la nuova compagna di Piero, che tutte le mattine, puff, se ne va.
C’è un nodo scuro che non ho abbandonato mai nella costruzione della ragnatela. I Signori del Silenzio è un racconto a più voci su come la violenza, anche il solo assistervi, possa paralizzare i percorsi di crescita delle persone. Apre la questione di come il trauma, nel far sentire il suo potere devastante a distanza di anni, conviva spesso accanto alla subcultura della mistificazione e dell’imbroglio.
Fino a che non esplode la voglia di vivere. La fiducia nella vita, nella forma di un incontro casuale, che srotola di nuovo il desiderio.
Ma tutto questo ha un costo. Ha un costo arrivare a Eram, il paese magico a cui aspira Martino. E in un mondo pieno di imbonitori e biglietti a prezzo scontato verso la felicità, srotolare il desiderio costa ancora di più. Bisogna prima rovesciare il destino. Riannodare i fili. Mettere insieme i cocci della sofferenza.
I Signori del Silenzio parla così di come la strategia del silenzio possa corrodere a poco a poco il diritto ad una normalità. Il recupero della memoria. La ricerca di una comunità in cui circoli la verità. E parla, forse, anche di una flebile speranza, che fino a prova contraria rimane ancora depositata nella dimensione più vera di ciò che chiamiamo amore.
Spesso mi viene chiesto perché scrivo narrativa.
Qui ho le idee più confuse. Direi che continuo a scrivere narrativa con fatica e passione perché amo raccontare. Può darsi che abbia a che vedere con il fatto che nel mio lavoro ascolto decine di storie e scrivendo trasformo. Elaboro. Sublimo.
Probabile.
Ma credo ci sia un movente dietro a questa passione che va aldilà della questione personale circa il rapporto con il piacere e dell’opportunità professionale della rielaborazione.
Forse è il bisogno di cercare un contatto sociale e culturale diverso. L’ansia di ritrovarsi intorno a un fuoco, come facevano in passato, a tramandarsi i racconti del villaggio. Fatti veri o romanzati poco importa, perché veicolavano tensioni, ambizioni, paure. Per questo amo la campagna, oltre che il mare. La campagna mi dà l’idea che raccontare storie potrebbe di nuovo essere possibile. La campagna è fatta di riti e di un flusso che manca in città.
Ecco. Per questo scelgo di scrivere romanzi.
Sono come accendere un fuoco.
Presto in libreria.