Io sono cresciuto da sempre nel sud delle cose, dove l’orientamento esistenziale è dettato dagli odori e dai colori.
Da piccolo ricordo in Calabria concetti dilatati del tempo sfrigolare assieme al caldo vibrante dell’asfalto. Uscivo di nascosto di casa durante la siesta che tutti dormivano. Me ne andavo su un terrazzone che dominava il paese e ricercavo quel sole stordente, vero cibo per la mente.
Vedevo il mare blu a un tiro di schioppo e mi immergervo nel catino degli odori di quelle piante rosse di cui non ricordo il nome. Forse oleandri. Erano tante che mi sembravano una foresta e spesso sopra ci mangiavo una pesca. Ecco, era pura sensorialità, dove l’esperienza del benessere coincideva con qualcosa di mistico.
Nel sud delle cose si vaga a lungo e senza troppe remore tra i concetti di giusto e meno giusto, perchè si confida che l’istinto faccia prima o poi da timone.
Così mi ritrovavo a pranzare che sono le 18 o a passeggiare che sono le 4, perché c’è un tonico particolare nell’aria che addolciva la vita, sfiorando certi equivoci o giocando con alcune interdizioni.
In un posto in cui sei cresciuto, ti senti da sempre saputo. Come una granita perpetua a forma di ossigeno, o una parmigiana croccante al suo primo boccone, un calamaro gratinato, o il latte di mandorla gelato, o il liquore di mirto a sincerarti che la vita continua.
Poi, nel sud delle cose, a fianco delle loro case, ci sono i vecchietti incontrati per strada, che ti guardano con rispetto felici di condividerti per un momento. I vecchietti per strada nel sud delle cose sono come bambini innocenti, spesso come loro hanno pochi denti e sono tremendamente pieni di vita e di coraggio.
Ognuno ha il suo piccolo menu etico, che ti sembra inequivocabilmente la soluzione al male del mondo. Mentre ci parli rapito, sei convinto che tutto cambierebbe se fossero loro a fare le leggi o a scrivere i libri o a insegnare all’università.
Li saluti con un goccio di amarezza, sapendo che forse non li rivedrai più; ti rimane impresso a lungo il concetto che hanno espresso come massima di vita o il sapore dell’amaro che ti hanno offerto abbondantemente al caffè di paese.
Uno di loro mi disse: tu le passioni, se davvero le sai scrivere, insegnale alla gente a vivere. Ha voluto l’indirizzo del mio blog ed io, con la mano che mi tremava per l’emozione, l’ho scritto sul tovagliolino ruvido di carta del bar.