Qualcosa che si approssima al sogno

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Ci sono esperienze nella vita che sono liminali al sogno. Per quel poco che ho capito su come nascono, credo che derivino da forti impatti con cose della natura. L’esito è quello di sentirsi scossi da un’energia che fa coabitare insieme il piacere con la sensazione della paura; la sospensione, nel concedersi se stare o meno in bilico tra gioco e realtà o ritornare frettolosamente in uno dei flussi in cui scorre standardizzata la vita.

La casistica è molteplice e potrei raccontare di numerosi istanti in cui questo momento magico si presenta.  Negli ultimi giorni, ad esempio, l’ho provato durante un’immersione in un’acqua poco profonda, seguendo un piccolo branco di pesci che non sembravano spaventati da me. O durante una corsa in cui l’ecosistema composto dai miei muscoli e l’aria intorno ha creato qualcosa di molto simile alla perfezione. O quando, nel dormiveglia, ho fantasticato un pensiero che poi, durante una sessione di lavoro, è stato puntualmente citato da un cliente.

Il momento magico capita anche quando tuo figlio cerca naturalmente la mano, proprio mentre avresti richiesto la sua presenza. Quando la temperatura si fa improvvisamente ideale. Quando casualmente trovi una posizione comodissima in cui vorresti stare all’infinito. Quando incontri lo sguardo di una mucca e ti sembra di aver capito tutto. Quando segui il profilo di un monte e ti viene in mente il concetto di pienezza. O quando, pochi secondi dopo il tuo intuito, un indizio si trasforma in prova.

Tendenzialmente, sono momenti privati o provati in un microclima che predispone al sogno; in linea preferenziale, dunque, al mare, in campagna, tra gli animali, durante una terapia; raramente, capita di intercettarli anche con persone reali che si concedono di stare immerse, quanto basta, nelle trame della vita fuori dal ciclo.

E’ perturbante la naturalezza con cui si presentano. Sono in grado, con una dolcezza decisa, di rendere obliqua ogni forma di equilibrio, lasciando aperta una domanda pre-verbale ma non viscerale; ancora troppo involuta per chiamarla simbolo, giá abbastanza evoluta per non chiamarla bisogno.

Penso che il nesso relazionale che connette istanti così diversi e che ci consente di coglierli sia l’assenza di giudizio, una moderata quota di inquietudine, uno sguardo stuporoso che assomiglia a quello di un bambino ed il bisogno di sentirsi vivo.

Si tratta infatti di esperienze a perdere, che non costano niente e che non possono essere fotografate (per quanto ci tenti) o postate su facebook  (per quanto lo faccia).

La loro eclatanza, sta tutta nella loro non straordinarietá: sono battiti di una bellezza inconfondibile quanto quotidiana, distribuita sul crinale che separa il sonno dall’eccitazione sensoriale.

In loro attesa, lo stato psichico a cui abbandonarsi è quello normalmente triste, perché nel fervore maniacale del dire, fare e pensare, non c’è spazio per questo brandello di moderata felicità.