La natura è cultura

Distruzione del Leviatano - incisione del 1865 di Gustave Dorè fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/File:Destruction_of_Leviathan.png
Distruzione del Leviatano – incisione del 1865 di Gustave Dorè
fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/

Io vorrei riavere a che fare con le persone, sentire il calore di un entusiasmo sociale, costruirlo insieme accanto alle nostre case, oltre che i binari per le tramvie.

Percepisco la depressione nell’aria, la terra sta diventando depressa. La depressione,  in molte aree, è un dato di fatto culturale: uno stile di vita acquisito, un’impotenza appresa di massa, un rodaggio dei motori individuali al minimo dei giri, il crollo di una speranza ed il rinchiudersi collettivo delle certezze in piccoli rituali quotidiani di cui ciascuno è fattore ed attore.

Sempre più diffidenti, abitati da un sottile vissuto paranoideo, scivoliamo via, appena ci intercettiamo, vivendo tra paletti reali e virtuali. Abbiamo paura ma ci ostiniamo a non parlarne, simulando una vita normale, ma con la coda dell’occhio vediamo che nessuno di noi è soddisfatto.

Ho la fortuna di incontrare centinaia di persone nel mio lavoro ma non posso fare a meno di constatare che per i più, il lavoro, quando c’è, è spesso estraniante. Se va bene, siamo nell’epoca del fordismo della mancanza di senso. Se va male, capitiamo in universi abitati da procedure disumanizzanti dove si autoalimentano odio, potere e rivalità.

Ad incorniciare questi strani giorni, i codicilli. Le password. I link. Le app. Le overview. Le slides. I blog. Compreso questo. Poi altre parole dell’ultima generazione dei cellulari, ci saranno, non so. Io ho ancora un s3.

In un bel prato, sotto il sole cocente o la pioggia battente, le differenze si assottigliano e la simulazione del falso benessere anche. Credo che sia per questo motivo che la gente si “risente” durante qualche evento infausto: perchè fa, opera, suda, sgomita, impreca,  lavora.

Quando la depressione è culturale, c’è poco da fare clinica e molto da fare cultura, impegnarsi in schizzi e progetti, gettare il cuore oltre l’ostacolo e ritrovarsi, oltre le ermeneutiche personali. Le ermeneutiche del lamento, del privilegio, dell’attacco e della difesa.

La cultura si fa da piccole cose: come si parla, ci si veste, ci si muove, si guarda una partita, si mangia, si impegna il tempo libero.  Come ci si stupisce dei 30 gradi a fine ottobre o si accolgono amici a cena la prima volta. Come si applica la non violenza sapendosi osservare in ogni gesto umano prima che professionale o tecnico. O riconoscendo uno scivolamento personale verso un agito che ti prende la mano e che sarebbe potuto andare anche oltre.

Mai come oggi, almeno per me, la cultura è la vita e sta nel flusso delle cose semplici. E’ fuori dai libri, verso i quali non sento più l’attrazione che mi riempiva un tempo.  Sono ammaliato da quello che mi insegna lo sguardo pieno di un cane, o lo scodinzolio ostinato di un pesce, o il freddo persistente che provo quando l’autunno si riaffaccia a riannodare il ritmo delle stagioni perse.

A dispetto del detto, siamo infatti invasi dalle mezze stagioni.

Accademia di Psicoterapia della famiglia di Roma: workshop con Giacomo Grifoni e Alessandra Pauncz

LAVORARE CON LA VIOLENZA: VERSO NUOVI MODELLI DI INTERVENTO

E’ emozionante, come terapeuta familiare, entrare all’Accademia di Roma come docente. Questo workshop, dove ci occuperemo di definire caratteristiche e specificità del lavoro con vittime ed autori di comportamenti violenti, ha per me numerosi significati simbolici ed affettivi. Ne sono particolarmente orgoglioso ed entusiasta.

Di seguito la brochure dell’evento.

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Capita di non avere niente da scrivere

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Capita di non avere niente da scrivere. L’ansia che prende è docile e fitta, come nebbia su un colle di sera, buon tempo comunque si spera.

Certi eventi sono incommentabili: non esiste simbolo che li possa racchiudere, solo il coraggio e la pazienza di diluirli con dell’acqua gassata, come il vino forte dei contadini.

La gente ti sorpassa in velocità.  La mente gira lenta e non registra altro che attese. Il freno a mano è tirato, l’istinto velato.

Questo è un momento meraviglioso, perché si trema come le foglie d’estate d’agosto, già nate o già morte, non conosco la climatologia.

Sai quando fai stancamente una brace. Giusto per il gusto dell’altro di mangiare croccante. O quando bevi una birra gelata, solo per il gusto che sarebbe stata.

Volumi di aria ingurgitati a perdere, campanelli in lontananza di mucche, le vorresti andare a vedere, ma sono lontano e saranno solo ricordo di un protopensiero.

L’esperienza ha i suoi ritmi e le sue nostalgie. La terapia giusta in questi casi è accoglierla.

Diventare beoti di se stessi rende immensamente felici.  Non si deve sempre rielaborare, semplicemente andare, guidati da un’onda che porta piano ma lontano, o velocemente vicino, che poi è lo stesso.